Progetto Filierba: dopo 3 anni risultati e analisi più che incoraggianti

Fate finta di essere intervistatori e di essere al centro di una qualunque città del nord Italia. Fermate i passanti (cortesemente, non siamo alle “Iene”) e chiedete “Lei sa cosa mangiano le vacche?”. Pensiamo che i più vi risponderebbero “Erba e fieno”. Ponete la stessa domanda a quelli del ramo (allevatori e tecnici) e la risposta potrebbe essere “Insilato di mais e mangime”. Naturalmente hanno ragione quelli del mestiere! 

Si dice “Alimentazione convenzionale” anche se non vi sembrerà così scontato… Vedremo.

Sapete che cosa è il Piano di sviluppo rurale o PSR? Forse no. Banalizzando al massimo possiamo dire che sono una serie amplissima di provvedimenti (misure) che Unione Europea, Stati e Regioni studiano e approvano (ogni 7 anni) per favorire la permanenza e la vita della popolazione rurale: quella che abita fuori dalle città. Naturalmente tra queste norme l’agricoltura la fa da padrone.

Come si mettono insieme le due cose? Beh, i modi sono tanti ma, in questi giorni, è terminato in Piemonte (ma hanno collaborato anche i Lumbard) un “progettone”, si chiama: Filierba – Sviluppo di filiere zootecniche basate su foraggi polifiti per superare le difficoltà dei comparti carne e latte e migliorare la sostenibilità degli allevamenti – mica da ridere… Un progetto nell’ambito del PSR 2014-2020, Misura 16.1.1 sulla cooperazione tra aziende agricole, imprese, enti di ricerca, che, in ragione della pandemia, ha sforato nei tempi.

Foraggi polifiti?? Non è così difficile. Prati e pascoli, composti da più di 5 – fino a decine e decine – di specie erbacee diverse. Insomma quella roba che mangiavano e mangiano i ruminanti: dalle pecore e dai cammelli di Abramo, ai bisonti di Pecos Bill, roba normalissima insomma.

Normalissima sino a 40/50 anni fa, oggi non è più così.  Molti però potrebbero dire: quando vado a spasso per la Val d’Aosta, in estate, vedo le “mucche” che mangiano l’erba, cosa ci raccontate?

Facciamo così. I foraggi polifiti vengono usati – in misura diversa – in quasi tutte le aziende zootecniche, piccole e grandi. Nelle aziende più grandi, per superficie e numero di capi (essenzialmente quelle di pianura), nella dieta la fa da padrone l’insilato di mais mescolato a prodotti proteici (soia, girasole) e a mangimi concentrati. La gran parte del latte del nord Italia, da decenni, viene da queste aziende. Oramai la definiamo “alimentazione convenzionale”, quella delle aziende di montagna e delle piccole realtà di pianura, abbiamo iniziato a chiamarla “a foraggi polifiti”. Se non fosse chiaro e se avete un po’ di tempo e curiosità, potete approfondire qui: https://filierba.it

Con alcune varianti la cosa vale anche per la carne e per i bovini specializzati in queste produzioni! Una roba alla volta.

Il promotore del Programma è stata l’Università di Torino e il soggetto principale il Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari DISAFA. La diciamo tutta: l’attore principale è il Professor Giampiero Lombardi, uno che la sa lunga di Alpicoltura (non apicoltura!) e di Gestione dei sistemi agropastorali, un signore molto alla mano anche se ha un curriculum lungo così. Hanno trovato dei partner (trovate una lista in fondo) e si sono fatti approvare, dalla Regione, il progetto, mica quattro soldi… Siamo all’inverno 2020/21 quando tutto si è messo in moto. Videoconferenze a go-go (eravamo in pieno periodo covid), ufficiali e amicali per spiegare a tutti i soggetti l’idea principale ma anche una serie non piccola di azioni secondarie. Per dirne una, l’approfondimento della vicenda “piante commestibili”, le erbette come le chiamano le nonne, per l’alimentazione umana. Il partner principale di questa sezione sono “Club amici della Valchiusella”.

Ci concentriamo di più sulla vicenda latte e formaggi. Nel Piemonte nord il Caseificio Valle Elvo di Occhieppo Superiore (BI) ha indicato un certo numero di aziende zootecniche socie che sapeva far grande uso di foraggi polifiti, tutte con sede a cavallo tra Biellese e Canavese. I tecnici DISAFA le hanno visitate, hanno intervistato gli allevatori, hanno cartografato le aziende e valutato le produzioni (quantità e qualità) di un certo numero di prati e pascoli all’interno di queste.

Quando i tempi sono stati maturi, e dopo puntuali accordi tra gli attori, il caseificio ha raccolto il latte solo delle aziende scelte (senza mescolarlo con l’altro) e l’ha trasformato in formaggio. Al suo arrivo in stabilimento c’era un tecnico dell’Istituto Zooprofilattico del Piemonte ad aspettarlo. Campioni di latte e di “cagliata” (il preliminare del formaggio stagionato, appena uscito dalla caldaia) venivano portati a Torino e analizzati. Stessa cosa per il formaggio a 30 e 60 giorni di stagionatura. Così per 11 volte, tra l’agosto 2021 e il febbraio 2024, in tutte le stagioni. Con pazienza, fino alla fine del Programma: il 5 maggio 2024.

Cosa ci si aspettava? Che le analisi confermassero che l’alimentazione “a foraggi polifiti” avesse qualche speciale qualità o beneficio per l’alimentazione umana. E allora? Non ci crederete, ma è andata proprio così!

Il latte, la cagliata e il formaggio sono più ricchi di acido oleico che ha effetti antiossidanti e sembra essere capace di mantenere nella norma i livelli di colesterolo (soprattutto quello “cattivo”) nel sangue, oltre che di ridurre i valori della pressione arteriosa. E, soprattutto, hanno un ridotto rapporto tra omega 6 e omega 3 che, i moderni studi, hanno stabilito meglio essere il più basso possibile: sotto il 2,5!

Bingo! Però San Tommaso (il vostro cronista) direbbe e dice: “… Nelle aziende indagate, sono allevate razze rustiche (Pezzata rossa, Valdostana, Pinzgau) rispetto alle vacche specializzate da latte, non è che i nostri ottimi dati dipendono dalla genetica?”.  Gli esperti rispondono: “NO, provengono in grande misura dall’alimentazione”. Chi siamo noi per non credere?

N.B. Per la carne valgono – grosso modo – gli stessi dati. 

Costante Giacobbe

Caseificio Valle Elvo

Questi gli attori del Programma, uniti in un GO (Gruppo operativo) del partenariato europeo per l’innovazione. Università di Torino: Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari e Dipartimento Management. Due Istituti zooprofilattici sperimentali: Torino (Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta) e Brescia (Lombardia, Emilia). Operatori di filiera: GestCooper TO, Club Amici della Valchiusella, EffeMarket srl. Un’impresa alla comunicazione: Kulta MI-GE. E alcuni produttori agricoli: per il Nord Piemonte, il Caseificio Valle Elvo di Occhieppo Superiore BI, per la restante parte della Regione, Coop. La Granda, Az. Agricola Masera e Mazzurana.

Il progetto si propone di: 1. Promuovere lo sviluppo di filiere di produzione di carne e latte bovini basate su sistemi di alimentazione che impiegano prevalentemente foraggi da praterie polifite; 2. Promuovere l’adozione di soluzioni innovative per la gestione dell’allevamento al fine di migliorare l’organizzazione aziendale dei produttori primari e rafforzare il legame tra prodotti e territorio; 3. Sviluppare produzioni integrative a quelle zootecniche (piante eduli).

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